Le suprême bonheur de la vie, c’est la conviction qu’on est aimé; aimé pour soi-même, disons mieux, aimé malgré soi-même; cette conviction, l’aveugle l’a. Victor Hugo
La suprema felicità della vita è la convinzione di essere amati; amati per se stessi, anzi, diciamo meglio, amati malgrado se stessi; questa convinzione, l’ha il cieco. Victor Hugo
Questa mattina leggevo La camera chiara, di Roland Barthes (Einaudi 1980). Come al solito Barthes è acuto, nel parlare di fotografia come quando affronta pressoché qualsiasi altro argomento; e mi colpisce come, lontano dal voler fare uno studio sistematico della fotografia artistica, quasi ne ricusi lo status di unicum artistico, dividendo lo Studium – il valore intellettuale evidente, che lo interessa poco – dal Punctum, ossia l’aspetto emotivo che sfugge alla classificazione e colpisce come una freccia lo spettatore.
Ebbene, riflettevo poco fa, una cosa simile accade nell’amore. La persona amata, spesso, lungi dall’accettare a cuor leggero la condizione di essere amato, accusa e ricusa l’amante.
“Come? Mi ami per così poco? I miei occhi, che saranno mai? E la mia intelligenza? Tientela, per quel che vale”. Così facendo si comporta come un assassino che si senta lodato per la sua onestà, e che con le mani ancora sporche di sangue non solo rivendica il delitto che ha commesso, ma anzi pretende la punizione che da questa ne deriva.
Il Punctum, l’aspetto emotivo che sfugge alla classificazione, sta nel fatto che noi non siamo interessati alla perfezione coronata della goccia di latte di Edgerton, perfetto esperimento che sta però tutto nello studium, nell’intelletto; noi la prima cosa che vediamo nell’amato, prima che gli occhi, prima che i fianchi e la posizione del corpo nello spazio, sta proprio in quel Lasciami stare, nelle mani sporche di sangue; mani che non vediamo l’ora sporchino anche noi, ecco.