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Lee Sedol

Lee Sedol e l’intelligenza artificiale.

Ieri notte ho guardato su YouTube il documentario AlphaGo – The Movie.

Di cosa parla? Forse del go, sicuramente di intelligenza; in un momento incredibile di questo documentario, in cui gli esperti della DeepMind – l’azienda di Artificial Intelligence che ha ideato AlphaGo – continuano a mettere in guardia dall’antropomorfizzazione dell’AI, cominciano a usare ripetutamente termini che hanno a che fare con la personalità, con un’intelligenza che sta guardando dentro se stessa; con l’errore, che dell’umano è il punto più alto.

Per chi ne sa di scacchi, AlphaGo è il predecessore di AlphaZero, un algoritmo di intelligenza artificiale che, per farla breve, in quattro ore (4) ha appreso da zero a giocare a scacchi diventando più forte del più forte programma in circolazione, StockFish, battendolo 28 a zero con 72 patte. È vero che sono stati sollevati dubbi importanti su questa performance – nessuno dei due libri poteva usare libri di apertura, che è come dire “Gioca a scacchi dimenticando ciò che hai imparato”; nessuno poteva usare tablebase, che sono quanto di più vicino esiste alla soluzione degli scacchi; si doveva muovere a minuti per mossa e non a partita, cosa che – per chi sa giocare a scacchi – pialla il livello di attenzione su una media, quando uno scacchista sa che anche nel piano meglio definito esistono mosse centrali che richiedono riflessioni più lunghe. Come i famosi tre quarti d’ora di Bronstein.

AlphaGo di AlphaZero era il predecessore, studiato per il gioco del Go. Lo hanno fatto giocare col campione europeo Fan Hui, goista francese nato in Cina; Fan Hui ha perso cinque a zero. Allora hanno organizzato un match con il grande Lee Sedol, più volte campione del mondo nonché uno dei giocatori più titolati di sempre, che ha dichiarato qualcosa del tipo “Ci vuol poco a battere Fan Hui” (cosa peraltro abbastanza vera: all’epoca il giocatore era 633esimo nelle graduatorie mondiali).

Lee Sedol ha perso 4-1 un match che si proponeva di vincere cinque a zero; e nel 2019 ha abbandonato il go professionistico, dicendo che non avrebbe mai potuto essere il più grande giocatore di Go a causa del crescente dominio dell’AI. (Va detto che nel 2019 giocò 18 partite perdendone 11; la nuova stella di Shin Jinseo già brillava).

Non la voglio tirare lunga, ma il documentario va visto per tre buoni motivi.
Il primo, è la 37esima mossa della seconda partita contro Lee Sedol. Si ha la sensazione, anche dal suono, che una pietra venga poggiata sulla luna.
Il secondo è lo sguardo di Lee Sedol, che ha combattuto per anni diventando il migliore al mondo, ha dichiarato che avrebbe vinto facilmente cinque a zero; e poi quello sguardo dice tutto.
Il terzo è la frase di Fan Hui, che dopo la sconfitta contro AlphaGo divenne proprio consulente di DeepMind per il match contro Lee Sedol. Quando Lee Sedol abbandona la terza partita, e quindi perde il match, di fronte ai sorrisi e all’entusiasmo di tutti Fan Hui ripete: Be gentle. Be gentle wih him.
La sensazione è che “him” sia Lee Sedol, ma anche il genere umano, in qualche modo. E quando gli operatori di AlphaGo, dopo la quarta partita – e la 78esima mossa -, vinta da Lee Sedol con una percentuale a lui ascritta dello 0,007% da parte dell’AI, dicono “So the God move was literally a God move”, ecco che capiamo che se c’è qualcuno capace di fare mosse divine, ecco che quelli siamo noi; che tornano ad avere senso le parole che Pico mette in bocca a Dio: “Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto nel mondo né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché da te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”. (Reale-Antiseri pg.44 vol.II).

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Qui un articolo molto interessante sulla vicenda di Dario Saltari su L’ultimo uomo.

Un articolo del New Yorker sulla vicenda a firma Patrick House.

Qui invece, sempre su L’ultimo uomo, Andrea Cassini parla di AlphaZero.

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