Leggere lettere per scrivere storie
Un articolo essenziale sulla narrativa epistolare, scritto dalla nostra docente Alessandra Minervini.
Vi ricordiamo che è in partenza il suo corso, in tema, Lettere dal Penelope.

"E allora impara a vivere. Tagliati una bella porzione di torta con le posate d'argento. Impara come fanno le foglie a crescere sugli alberi. Apri gli occhi. Impara come fa la luna a tramontare nel gelo della notte prima di Natale. Apri le narici. Annusa la neve. Lascia che la vita accada."
Sylvia Plath Tweet
Ci sono lettere che non ho ancora scritto eppure le conosco a memoria, solo che non riesco a scriverle. Lo stesso sentimento lo provo davanti alla pagina bianca quando la certezza di avere in pugno la mia storia si infrange non appena comincio a digitare le parole sulla tastiera. Leggere carteggi letterari tra autori e autrici che amo è uno strumento narrativo formidabile, perché mostra il punto di vista di una storia in maniera inequivocabile. Le lettere si nutrono di dettagli e i dettagli sono le vitamine di una voce letteraria. È la prova e la controprova della chiarezza che ho in testa prima e durante la scrittura. Formidabile. Così come leggerle. Giocare con i punti di vista di una storia dentro la forma epistolare rivela molte verità e anche molte ingenuità che fanno parte dei personaggi che ho inventato. Leggere e scrivere lettere per sprofondare dentro i personaggi, accoglierli nella loro verità che non coincide per forza con la mia, anzi il più delle volte è all’opposto.
«Vorrei sapere qualcosa di te, se stai bene, se sei ancora così crudele.»
Per fare un esempio, Una bellissima coppia discorde è il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi avvenuto tra il 1945 e il 1950. Consiglio di leggerlo per due motivi: il primo, per scoprire un autore come Pavese in una versione meno famigliare ma più intima. Gli epistolari così come i carteggi sentimentali a questo servono – a mostrare lati di chi scrive che la scrittura di fiction non consente: pensate a ciò che avviene oggi con i social, molti scrittori e scrittrici vengono a galla, alcuni benissimo, attraverso la loro attività social che in realtà è una attività intima, perché non comprende l’io che scrive.
«È sempre stato amore storto, non assenza di amore.»
Scrivere e leggere lettere mi fa sentire viva dentro. Dentro la scrittura epistolare si annidano le mie anime, quella di scrittrice, di lettrice e di accompagnatrice di storie. Ne ho scritta una di recente, si chiama Una bella fetta di torta. E per farlo sono partita da Sylvia Plath, una sua poesia, la sua vita – quella che conosco attraverso i diari e le lettere, quella che immagino negli spazi vuoti delle sue frasi. Iris Chiaravalle non sarebbe venuta al mondo senza la scrittura epistolare, quella lettera che scrive a una sua amica, scrittrice come lei ma a differenza di Iris ancora agli albori e senza il suo acclarato successo, che poi è diventata il mio racconto con una precisa direzione.
«Amica mia, ieri ho scritto sulle pareti dello studio una dichiarazione d'amore per me stessa: raccontami qualcosa che non so. Poi ho scattato una polaroid, la trovi sulla scrivania, sul pc. Prendila, è per te. La scritta l’ho cancellata, dopo qualche ora. Via, via tutto. Esiste più verità nelle cancellature che nei romanzi che ho pubblicato. Arriva il 2019. A dicembre vado a Bologna per tenere alcune lezioni su Colette, dicono che hanno letto alcuni miei vecchi articoli in cui la descrivo come una donna infinita, ho risposto subito sì, poi ho cercato quegli articoli ma non li ho trovati. Ero troppo nervosa credo, pochi giorni prima ho ricevuto la mia prima valutazione negativa. Il primo rifiuto, come in una catena di baci di Giuda, arriva il secondo e poi il terzo e poi il quarto rifiuto. Uno dietro l’altro. Nessuno lo vuole. Sono talmente afflitta che mi sono scritta una lettera di rifiuto da sola, unendo quelle ricevute, come i puntini dell'enigmistica, ne è venuto fuori un mostro a forma di me.»
Alessandra Minervini Tweet

Iris è un personaggio tragico e fittizio, che in qualche modo ho interpretato scrivendo, al cuore pulsante delle scrittrici che fanno parte della mia formazione, mi interessava mettere in scena la disperata ricerca di sé dentro la vita più che dentro la scrittura di alcune di loro. Non conosco i motivi di tanta disperazione ma in un certo senso la vedo e la sento e ho provato a scriverla.
La letteratura epistolare mi fa entrare a piede libero nella voce, nell’anima e nelle idiosincrasie dei personaggi.
Sblocca la fase creativa, è un serbatoio di idee, allarga la visione del narratore e dell’autore che non è detto coincidano, nelle lettere è inequivocabile.
Diversa la storia per i romanzi, le lettere uniscono la verità alla finzione letteraria.
«Ti auguro ogni bene possibile, e spero che tu sia felice, ammesso che la felicità esista. Io non credo che esista, ma gli altri lo credono, e non è detto che non abbiano ragione gli altri.»
Natalia Ginzburg Tweet
La citazione viene da uno dei romanzi epistolari più belli della nostra recente storia letteraria: Caro Michele, scritto da Natalia Ginzburg (1976). Un concentrato di stile, pensiero, vita e sentimenti dentro il formato del romanzo epistolare dove l’incomunicabilità di un amore e del suo mistero viene raccontata attraverso le lettere. Scrivere un romanzo è per certi versi simile alla scrittura epistolare, di certo ne condivide il fine: raccontare una storia a qualcuno. Ci sono lettere che sbloccano una storia e lettere che invece la rendono impossibile. Ci sono carteggi ed epistolari famosissimi che coinvolgono i più grandi scrittori e le più grandi scrittrici di tutti i tempi.
In una lettera l’io che scrive e l’io che vive sono parecchio confinanti, questo è anche l’aspetto meraviglioso, si può barare tantissimo come invece si può lasciare andare tantissimo catrame che ci impedisce di scrivere come vorremmo.
Per questo la prima cosa bella che fa un laboratorio sulla scrittura epistolare è questa: vi lascia vedere la parte di voi che scrive, così come è e come forse nemmeno voi sapevate che fosse; scrivere lettere può corrispondere a chiedersi: chi sono io che scrivo?
Allenarsi scrivendo con un punto di vista epistolare, cioè rivolgendosi direttamente a qualcuno, sblocca molto la fase creativa perché allarga la visione del narratore e dell’autore che spesso coincidono e spesso no: vediamo un caso in cui coincidono. La lettera può essere solo un mezzo per raccontare un personaggio oppure può diventare il modo migliore per dare una voce alla storia.
Succede in Lettera Aperta, esordio di Goliarda Sapienza, pubblicato la prima volta nel 1967 da Garzanti, anno in cui la scrittrice partecipò al Premio Strega.
È un’autobiografia nuda e pura con una voce letteraria, dunque piena di interesse per le parole e interessante per chi la legge, sin dalle prime righe: «Non è per importunarvi con una nuova storia né per fare esercizio di calligrafia, come ho fatto anch’io per lungo tempo; né per bisogno di verità – non mi interessa affatto, – che mi decido a parlarvi di quello che non avendo capito mi pesa da quarant’anni sulle spalle». E subito dopo qualche capoverso prosegue: «Scusate ancora, ma ho bisogno di voi per essere in grado di sbarazzarmi di tutte le cose brutte che ci sono qui dentro». La voce di Goliarda Sapienza è voce di scrittrice. Di chi sa che, pur raccontando la sua vita, sta stabilendo un legame con qualcuno.
Partendo dalle nostre suggestioni, vi lascio con un piccolo allenamento.
Scegli un personaggio qualunque della storia che vuoi raccontare, usalo come narratore e punto di vista di una lettera in forma di racconto (quindi con un finale) in cui racconta un evento che ha a che fare con la tua vita, e che non avevi mai pensato di usare per raccontare la storia che stai scrivendo. Due cartelle al massimo. Buona scrittura!
Mi sembrava di aver già lasciato un commento, ma evidentemente ho sbagliato qualcosa. Altrimenti mi scuso per la ripetizione.
Nel mio romanzo c’è una parte considerevole in mano alle lettere, mi è stato necessario per due motivi: per dare credibilità alla storia poiché due sorelle e un fratello, nell’immediato dopoguerra, una sposata in Maremma, l’altra rimasta a Locorotondo, l’altro emigrato in Argentina, avevano solo quelle come mezzo per comunicare le notizie e le novità famigliari, come facevano la mia bisnonna, classe 1897, e la sorella emigrata in Francia (le lettere in questione le conservo io); inoltre, essendo un romanzo che si snoda attraverso molti anni, mi è servito proprio per portare le informazioni necessarie e le trasformazioni dell’ambiente, al lettore. All’inizio ero riluttante all’idea di ricorrere alle lettere, invece devo dire che è stata la parte più divertente, in cui mi sono sentita libera di scrivere, anche un po’ sgrammaticato, come si conviene a persone semplici e senza troppe pretese. Inoltre ho lasciato parlare i personaggi, ho lasciato che si confidassero tra di loro, che venissero svelate le aspettative, le delusioni, e anche un segreto di una certa importanza. Hanno fatto tutto da soli, io ho solo mosso le dita sulla tastiera.
Alessandra, grazie. Sei di grande ispirazione.
Isa