“Tu sei l’omino della soffitta”.
“Come?”
“Ho sempre sognato di toccarti la faccia. Posso?”
“P-perché?”
“Perché sei l’omino della soffitta”.
“Faccio un altro lavoro”.
“Non rispondere in maniera sciocca. Non sei qui per questo”.
“…?”
“Posso toccarti la faccia?”
“Se credi…”
“Oh. Senti… La tua pelle è esattamente come me l’aspettavo. O, meglio: mi aspettavo di non riuscire ad aspettarmela neanche, e infatti è così”.
“Che ha la mia pelle?”
“Ha una strana consistenza. Anche l’odore del tuo collo… sniff sniff… è strano. Tu sei l’omino della soffitta”.
“Cosa intendi?”.
“Io e te dobbiamo iniziare a dormire insieme. Se vuoi posso corteggiarti, se lo credi. Posso farlo per mesi, anche anni. Ho pazienza. Se vuoi che ti doni la mia vita lo farò. Quando tornerai a casa stanco dal lavoro ti toglierò le scarpe e ti laverò i piedi, e magari te li massaggerò. Tu mi racconterai le favole che sentivo su dischi rigati anni fa. Io ti insaponerò la schiena, e assaggerò con te da un cucchiaio di legno il sugo già pronto. Tu dipingerai il cornicione, sporgendoti fuori dalla finestra mentre io ti tengo la mano, fidandoci l’uno dell’altra, e mangerai la crosta delle crostate che ti farò”.
“Non mi piacciono le—“.
“…Io farò finta di arrabbiarmi, e tu riderai e avrai la barba sfatta e mi porterai in camera da letto e mi amerai, e dal corpo mio e dal tuo transiteranno tanti bambini”.
“Perché?”.
“Perché sei l’omino della soffitta. Quello che fa i buchi nel cielo”.
(Illustrazione di Kiakkio)