PENELOPE STORY LAB
Scuola di scrittura

Quella folle concentrazione per scrivere

Quella folle concentrazione per scrivere

Un articolo essenziale sulla concentrazione, scritto dalla nostra docente Alessandra Minervini.

Vi ricordiamo il suo manuale di scrittura: Una storia tutta per sé (Les Flaneurs edizioni, 2020). 

Qui il link per acquistarlo.

Alessandra Minervini

È bene organizzarsi nella scrittura. Lo ripeto ancora e ancora e ancora.

Per scrivere serve un folle coraggio, dicono in molti. Vero. Secondo me per scrivere ci vuole una folle concentrazione.

Non ho mai creduto nei trucchi del mestiere di scrivere, qualsiasi cosa questo significhi: dal diario personale al racconto per rivista, dall’editing di una storia all’ideazione di una scaletta, quando compio un atto creativo la prima parola che mi viene in mente è protezione. Non vocazione, non urgenza, non necessità. Protezione.

Quando scrivo proteggo e mi proteggo. Avere una concentrazione totalizzante è la condizione indispensabile per far emergere questa zona di protezione. Un posto tranquillo dentro di me, la cosa più difficile da trovare.

Spesso mi ritrovo a scrivere in condizioni estreme. Una consegna al limite del tempo e la mancanza di protezione dentro le parole. Ho bisogno di vivere la parola nel momento stesso in cui la cerco. Sono numerosi gli episodi in cui questa ricerca mi sfugge. La mancanza di concentrazione si annida dentro di me sia per fattori esterni che interiori.

Partiamo dai primi.

C’è chi scrive in condizioni caotiche. Anzi, le preferisce. Il rumore intorno, comprese le persone che accanto fanno tutt’altro, possono essere stimoli creativi. Magari si fa prima, magari si sente la fretta e la pressione in maniera più produttiva. Per me non è così. Se sto scrivendo una cosa, l’attività che realmente faccio è pensarla. La mancanza di concentrazione debilita quello spazio del pensiero.

Se qualcuno chiama o richiede costanti attenzioni, siano personali o professionali, argina il pensiero; se il pensiero si argina crolla la concentrazione e la storia, con tutte le parole che ne derivano, affonda.

Allora non è che divento nervosa. Divento irritabile e irritante. Il mio bisogno di protezione si scontra con l’evidente mancanza di considerazione esterna rispetto ai miei bisogni, in questo caso creativi.

È come se si scatenasse una lotta involontaria tra richieste degli altri e richieste personali. Chi vincerà? Non sembra, eppure la maggior parte delle volte sono gli altri a vincere. Io mi arrendo, lascio il pc e il pensiero mi abbandona, mi fa ciao ciao con la manina e un po’ della mia stabilità mentale si spezza.

Almeno, si spezzava. Fino a qualche tempo fa. Quando nemmeno da sola mi concedevo credibilità e protezione.

È una questione di pazienza, la mia e quella degli altri.

Scrivere è il contrario della libertà, la scrittura è un padrone. E non è certo una posa romantica. Mi viene in mente l’immagine stereotipata dello scrittore che si sente incompreso dal resto del mondo. Non è che io creda a tale incomprensione come forma di indulgenza plenaria. Però è vero che sentire l’assillo esterno impedisce la concentrazione. Perché sposta l’attenzione. Questa è un’altra parola chiave. Se sto pensando a ciò che devo scrivere, porgo la mia attenzione su questo in modo totale. Non è che non posso, non riesco a prestare attenzione ad altro. Non è un atteggiamento naif. Dall’esterno può sembrarlo. Invece è proprio uno scontro tra la necessità di trovare protezione e l’evidenza che qualcuno o qualcosa stia lavorando contro questa ricerca. Allora serve isolarsi e basta? Spegnere il telefono? Mettere in off qualsiasi canale social, mail e soprattutto le chat? Serve sì, ma non basta.

Allora scarico la responsabilità sugli altri?

No, la responsabilità il più delle volte è mia. Sono io che mi sento in colpa in una doppia maniera. Verso me stessa, che smetto di proteggere, verso l’esterno, a cui sento di non dare l’adeguata attenzione.

Allora l’unica soluzione è rinchiudersi in un bunker e tutto va a posto?

Ovviamente no.

Nei vecchi noir americani c’è una scena di solito comune in molti casi. La macchina da presa inquadra quei vecchi schedari di metallo dove sono catalogati un sacco di documenti, c’è spesso una mano che li scorre, frugando nello schedario per cercare il documento utile, di solito per impossessarsene in maniera illecita, c’è una stanza spesso buia e fumosa e questa mano che cerca e quando trova il documento lo piega per una parte, controlla che sia quello giusto, il documento che stava cercando, quando ne è certo lo sbatte un po’ sul resto dei documenti nello schedario, come a dirci: trovato! Ecco, questo più o meno accade in una mente concentrata durante il processo di scrittura. Qualsiasi scrittura. Un sublime verso poetico come una ricerca bibliografica per un saggio di botanica. La concentrazione funziona in modo analogico, mentre il mondo chiede e pretende in modo digitale. Perdere la concentrazione significa bloccare quella mano che fruga nello schedario in un vecchio noir francese.

Non ci sono reali soluzioni. Né è mia intenzione svolgere lamentosi proclami. Scrivere è un lavoro come tanti e spesso pure un privilegio.

Intendiamoci, questo accade nella metà del tempo giornaliero. Non tutti i momenti della scrittura sono così iper-concentrati, però vi assicuro che accade e se volete portare a termine un lavoro, l’unico modo è concentrare tutte le vostre forze sulla santa pazienza.

Perché se poi escludiamo i fattori esterni, arrivano garibaldini e gagliardi, i fattori interiori. La distrazione è anche un fatto di fuga. Quante volte diciamo: «quando leggo, scrivo». Può valere per un periodo, ma non sempre. Leggere sempre senza scrivere mai è una fuga, un desiderio di spostare la concentrazione sulla lettura per non scrivere. I fattori interiori però, questo non ci credevo prima ma è così, posso controllarli, dando loro spazio e smettendo di lavorare per mancanza di concentrazione oppure vincendoli e farmi gioco di loro.
Qualche tempo fa ho dato ad alcune persone che mi seguono un consiglio per la concentrazione narrativa.

Una storia tutta per sé

Allenamento per la concentrazione narrativa

Prova stasera, o nel weekend, a riprendere un vecchio racconto o un manoscritto abbandonato, concentrati su ciò che oggi questa storia può raccontare. Scrivila con gli occhi, guardala prima di buttarla via. Osserva la storia senza andare oltre la stessa. Cancella l’ansia da prestazione, imponi a te stesso di finirla. Dai tutte le forze di concentrazione a un testo che non avevi considerato più importante. La gestione di un fuori programma può dirci di più del nostro metodo di scrittura di quanto pensiamo. Tenendoci meno, a quel testo, possiamo mettere alla prova le conseguenze della concentrazione senza farci da questa sopraffare.

Scrivere ci ricongiunge con la parte peggiore di noi. Almeno fino a quando non raggiungiamo l’obiettivo che è lo stesso motivo per cui lottiamo, ovvero trovare la giusta concentrazione. Io adoro scrivere, mi ricongiunge con la mia parte ferita, antipatica, spezzata, infantile e drammaticamente adulta. Con i miei sbalzi d’umore, con le mie intemperanze, con i baci e con gli schiaffi.

Con il tempo ho capito che la gestione della scrittura e della concentrazione necessaria è un altro dei compiti che spetta a me. Vorrei trasformare il notorio egoismo di chi scrive in generosità, verso me stessa e verso gli altri. Sto provando a invertire i ruoli dando alle relazioni, all’amicizia, al vino e alle avventure terrene più spazio di quello che pensavo di poter dare e uso il resto del tempo per scrivere. È molto facile che in questo modo le due parti, vita e scrittura, si incontrino senza che l’una disturbi l’altra. 

Senza che lo faccia nemmeno io.

Alessandra Minervini

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