Ci sono tanti modi per morire, o per lasciarsi morire.
Il profeta Isaia venne segato in due, Egeo si lanciò in mare, Dante morì di malaria, Seneca si tagliò le vene, Carlo Magno morì di morte naturale, Mussolini no. So di un tizio, mi hanno detto che fosse viadanese ma credo che venisse da territori vicini, tipo Novellara, giù di lì, che è morto molto giovane. Parliamo dei tempi della guerra; lui era del ’26, non aveva mai aderito a nulla, non aveva indossato cappelli né mai parlato di politica, a chi gliene chiedeva conto rispondeva: Mé la sula politica c’a capesi, l’è la tèra.
La sola politica che capisco è la terra.
Aveva così dato indicazioni a chi gliele aveva chieste, perché gli era sembrato normale dare indicazioni a chi gliele chiedeva; e le aveva date a un uomo col furgone aperto che si era perso, la targa diceva RE, e a due ragazzi con la motocicletta che non sapevano come arrivare a Reggio, e poi a cinque tizi che erano apparsi con uno Sten al braccio, cinque che in cinque forse facevano cent’anni ma solo uno sembrava avesse raggiunto i trent’anni, gli altri erano ragazzetti come lui.
Un giorno, poi, aveva dato indicazioni a una ragazza in bici. Era arrivata come un fulmine, le mani le aveva sporche di grasso, si era guardata indietro e gli aveva chiesto appoggiando il piede a terra dove fosse la corte Tamelotta, lui le aveva detto: Dipende dalla strada che vuoi fare, breve o sicura?
Lei gli aveva detto: Se tutte e due non c’è, sicura.
Lui le aveva detto: Vai per questo campo, poi gira a sinistra quando vedi un tronco giù, c’è un sentierino che non si vede dalla strada, dovrai fare un po’ di granturco ma dopo si apre lo stradino che faccio io.
Si chiamava Teresa, lei; lo venne a sapere la settima volta che la vide, sudata sulla sua bicicletta verde, spingere sui pedali come al giro. Non si fermava mai, ogni volta aveva le mani sporche di grasso, ogni volta si salutavano con una sillaba, ma se ci pensi dieci volte si videro e dieci sillabe si scambiarono, Teresa ne conta tre, ti amo tre, in mezzo ce n’è un mondo.
Un giorno arrivarono cinque in camicia nera, lo presero, uno gli diede una sberla guantata che lo scaraventò a terra.
– Hai dato indicazioni ai partigiani? gli chiesero.
Lui rispose, in italiano stentato, che aveva detto la strada a chi gliel’aveva chiesta, come ogni cristiano; e pensò a Teresa, e gli vennero in mente i cinque tizi con lo Sten, quattro non arrivavano ai vent’anni, come lui – ma non disse niente.
Lo portarono via, e lui pensò che c’era da dar da mangiare ai maiali. Per cinque giorni non seppe nulla; al sesto lo svegliarono al mattino, aveva dormito forse tre ore in tutto quel tempo.
– È giunto il momento. Seguici.
– Ora?
– Ora.
– Non posso. Domani devo…
– Lascia stare che domani non potrai.
Lo portarono in un campo, e lui vide una bici verde che conosceva appoggiata a terra.
– Vuoi un’ultima sigaretta? gli chiesero; lui non fumava ma disse sì, perché si dice che la sigaretta fosse la preghiera dei condannati e perché per me chiunque, chiunque al mondo avrebbe diritto prima di morire a una ultima sigaretta.
Ora, quello che successe di preciso poi non lo so. Ma mi hanno detto, e io mi fido, mi hanno detto che – sarà stato il sonno, o la paura, o i suoi ridicoli diciannove anni in un anno di mezzo del Novecento – lui si sentì improvvisamente sulle spalle gli anni di Isaia il profeta, che fu segato in due, e lo sconforto di Egeo al vedere le navi nere, la precisione di Dante, la saggezza di Seneca, l’orgoglio di Carlo Magno – né di nessuno di questi sapeva nulla.
Arrivarono dodici soldati e un caporale, alcuni di loro erano giovani come quelli dello Sten e con un filo di barba a fingere che fossero più grandi; le camicie erano nere. Questo tizio li guardò, si vide porgere da qualche parte una benda, fece di no con la testa; continuò a fumare la sua sigaretta, chiudendo gli occhi ogni volta che il tabacco gli arrivasse ai polmoni. Quando fu finita, sentì dare gli ordini, con calma; sentì che l’aria di aprile era insolitamente fresca, e il tempo gli si congelò addosso.
Plotone, attenti!
Iniziò a guardarsi intorno, e vide i petali di un piumino levarsi da terra, e altri, e altri ancora; si chiese come mai quei tredici tizi fossero così intenti a guardare lui, mentre tutto il mondo emanava una calma così. Gli alberi erano in fiore, il vento sospirava, le viti promettevano, l’erba da sola manteneva. Si disse che, fosse rinato, avrebbe preso a fumare: sentiva il sapore del tabacco sulle labbra, e in gola, e ci sarebbe voluto anche del vino, magari.
Caricare!
Gli vennero alla mente dei versi bellissimi, dei versi che non aveva mai sentito, versi che gli sembravano canzone e che dicevano
Io m’era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
già mostravam com’eravam leggeri;
ed el mi disse: “Volgi li occhi in giùe:
buon ti sarà, per tranquillar la via,
veder lo letto de le piante tue”.
E pensò che c’era un mondo che era nato dall’esplosione e che aveva portato lì, e ancora non capiva quegli sguardi mezzi furiosi e mezzi stanchi concentrati su di lui, eravamo tutti ragazzini, quando c’era tanto da sapere, e godere.
Puntare!
Sentì il freddo dell’acqua del mare prendergli prima i piedi, poi le cosce e tutto il resto, vedendo vele nere mai cambiate e disperando; e gli parve anche in quel momento tutto così insensato, come se tutto fosse già stato scritto e non avesse alcuna novità, e quindi il senso del mondo in lui si fosse arenato.
Poi vide gli uomini spostarsi, d’improvviso, aprirsi come una cerniera lampo e allontanarsi, e in mezzo a tutto quel gelo e alla concentrazione insensata strabuzzò gli occhi e vide Teresa a occhi chiusi appressarglisi, bella com’era, a piedi, con due ali larghissime e biancastre alle spalle; le mani no, le mani erano ancora sporche di grasso; e aprì gli occhi all’altezza del plotone, Teresa, e il tizio il cui nome è dimenticato alle cronache morì per uno sguardo, sette centesimi di secondo prima che dodici proiettili gli attraversassero il corpo.
Il comandante che gli si avvicinò per il colpo di grazia lo vide sorridere, e così lo lasciò.
(Nella foto: Vera Vassalle, medaglia d’oro per la Resistenza; guardate come è bella, gli eroi sono sempre giovani e belli).