[Racconto inedito] La valle dell'inferno, di Francesca Dello Strologo.
Francesca Dello Strologo, la conosciamo ormai da tempo.
È una voce più che interessante del panorama fiorentino, lei che – se ricordo bene – fiorentina non è; e ha lavorato diligentemente nei corsi con Ivano Porpora e Amleto De Silva.
Alla cura delle parole si uniscono una pulizia del pensiero e una articolazione concettuale rare. Lo vedete qui: il centro del racconto quasi non è più cosa è successo, ma secondo chi; finché, poi, non torna a cosa è successo – eccome.
Sta lavorando, e noi non vediamo l’ora che questo lavoro prenda forma definitiva.
E questa, ormai lo sapete, è la cosa più bella che leggerete oggi.
Ritrovarono il corpo in fondo alla scarpata, sulla strada vecchia per la croce. Per morire lì bisogna andarci apposta e non è facile. Sembrava aver volato: in mezzo ai rovi, tra resti di lavatrici, pneumatici e mobili schiantati qua e là.
Un uomo senza un braccio, un tribale interrotto che finiva nel nulla.
Non ci volle molto per capire chi fosse.
In quella valle dell’inferno il medico legale si occupava anche delle visite per l’invalidità, il cadavere gli era già passato davanti quando ancora camminava.
La notizia fu portata alla moglie da una panda d’ordinanza.
Una signora sbiadita, appena convalescente, la madre la sorvegliava a vista, per paura che ci riprovasse.
Separàti, tenne a precisare la donna, con l’unica parola che le uscì dal petto come una freccia spuntata, mentre le lacrime rigavano un volto senza dolore.
È per via dei farmaci, non riesce a capire, poverina, quasi si scusava la madre che invece era sconvolta.
Dopo la disgrazia della separazione, il malore, ora, anche quell’inconveniente.
L’uomo aveva debiti di gioco, niente di irrisolvibile, chissà come aveva un buon lavoro, recentemente aveva mostrato pure una certa disponibilità, pagava sempre, non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima, non si spiegavano.
All’imbocco della discesa per la valle dell’inferno c’era un altro paese.
Da lì il tabaccaio vedeva tutto quello che succedeva là sotto, chi andava chi veniva. In più, abitando sopra la bottega, era sempre in servizio. Meglio di un autovelox, leggeva le targhe e riconosceva anche le voci.
Lungo i tornanti della valle, vedeva sfilare le vicende del monco, di giorno in giorno più interessanti.
Giocava, aveva cominciato a bere e se ne stava andando di casa. Con la moglie erano separati, appunto. No, a voler essere precisi, in questi casi i dettagli sono essenziali, non ancora, ma mancava poco. Il tabaccaio l’aveva visto fare avanti e indietro per portare via le sue cose, solo qualche giorno prima.
La moglie non aveva retto.
Aveva provato a spegnere la luce, ma non c’era riuscita. Le erano mancate la determinazione e magari qualche nozione di base.
Frenata dalla vergogna, non aveva azzardato domande, era tornata dalla farmacia con munizioni a salve, buone forse per renderla ancora più infelice per il resto della vita, ma inutili per toglierla.
Si erano conosciuti alla casa del popolo.
Il sabato sera e in tutti i turni che rimanevano scoperti, lei serviva al bar: così poteva uscire e stare un po’ in compagnia senza accollarsi chiacchiere inutili di donne afflitte e sfiorite.
Quando il botteghino aveva tirato giù il bandone e la sala corse aveva chiuso le scommesse, lui con una mano sola poteva arrivare poco lontano, così andava alla casa del popolo.
L’aveva intravisto a malapena che gli prese subito le misure da sposo. Insieme al caffè corretto alla sambuca, gli servì interesse senza compassione, iniziarono a scambiarsi parole leggere, ridevano, parevano anche piacersi.
Che fosse menomato non la disturbava, anzi.
Lei se lo sarebbe accollato con un bel difetto, lui, in cambio, sarebbe dovuto rimanere, non come tutti gli altri.
Ma lui non aveva firmato cambiali in bianco e un bel giorno smise di considerarsi monco.
Il tribale fantasma risvegliò la parte che dormiva sul moncherino. Sentendosi uomo, era tornato a cacciare, complice anche l’audi modificata dal meccanico, acquistata con il risarcimento arrivato dopo anni di cause.
Di là dalla valle dell’inferno, in una conca gemella poco lontana, separata solo da qualche tornante di nebbia, incontrò una tipa.
La moglie tentò di far valere la garanzia, lui scosse la testa: ammesso che fosse mai esistita, era irrimediabilmente scaduta.
Uno scatolone dopo l’altro, traslocò dalla tipa.
Non vale la pena aprirli, qui c’è poco spazio, rimasero tutti chiusi, in attesa della loro nuova casa.
L’aveva trovata lei, lui non l’aveva nemmeno vista, gli bastava che fosse contenta lei e che lei facesse contento lui.
La casa di mia cugina per noi è perfetta, senza agenzia puoi risparmiare, un investimento sicuro contro la svalutazione, innamorata e piena di premure.
Tieni, le girò l’assegno con il risarcimento rimasto che bastava giusto giusto per l’anticipo.
Per la differenza, era pronto ad impegnarsi il futuro. Abituato ai debiti, avrebbe potuto pagare un mutuo.
Mi mancherà guardare la valle dal nostro posto, dovevano vedersi lì dove si erano incontrati le prime volte, entrando in confidenza sul sedile posteriore.
È anche romantica, sorrise.
Parcheggiò, accese una sigaretta.
Poteva fumare in pace.
Ora.
E per sempre.
Dopo averlo scaraventato all’inferno, il meccanico e la tipa salirono sull’audi e, allontanandosi, salutarono la valle.
© Francesca Dello Strologo