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PENELOPE STORY LAB
Scuola di scrittura

[Racconto inedito] Nello stomaco aperto, di Sarah Cipullo.

Ho avuto modo di lavorare con Sarah Cipullo in un breve corso, prima; una breve residenza, poi.
Siamo arrivati a conoscerci per via di certe conoscenze comuni; solo dopo ho scoperto che queste conoscenze comuni non la conoscevano, e quando si sono incontrate si sono salutate per la prima volta, così.
Ma alla fine la cosa curiosa è che da tutto questo nasce il racconto; e che il modo di raccontare di Sarah si sta espandendo, sta conoscendo nuove traiettorie – come dal Sole a Plutone, per dire -; e che tutto questo lo potete notare già qui sotto, leggendo un racconto che gioca leggero con erotismo, dark humour, amore, amore.

E, lo sapete già, questa è la cosa più bella che leggerete oggi.

IP

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Ci siamo incontrate al supermercato. Io ero tra fusilli e spaghetti. Leonie nell’angolo cieco dei miei occhi.
Non era molto alta e mi cercò perché l’aiutassi a tirare giù un paio di confezioni di brodo vegetale. Aveva l’accento spigoloso di una persona che ha attraversato una distanza e le domandai da dove venisse. Leonie mi raccontò che era nata e cresciuta a Berlino e che era venuta qui per un post dottorato in biologia. Poi mi sorrise e la osservai muoversi vicino i bordi del mio corpo come una nave che costeggia la costa. Aveva fianchi rotondi e accoglienti e quando un sottile profumo di cedro si levò dal suo collo in un’onda simile al fumo, le toccai il polso con la punta delle dita prima che potesse superare il mio carrello.
Ricordo ancora il nostro primo appuntamento. Godetti tutto il tempo dei rumori della sua bocca e lei si innamorò presto e inspiegabilmente di qualcosa che non potevo sapere, mentre io capitolavo per un che di inconsolabile che avevo intravisto nel fondo distratto dei suoi occhi scuri. Alla fine di quella serata, provavo un desiderio fisico incomprensibile che risvegliò nel sangue un’irrequietezza squisita. Dovevo avere con lei una qualche relazione o la sua assenza mi avrebbe lasciata insoddisfatta e incompleta.
Per mesi frugammo l’una nelle cose dell’altra, nelle borse e negli zaini vicino la porta di casa, nelle sneaker abbandonate fuori le scarpiere, tra le conserve in cucina e le boccette di profumo in bagno. Una volta, tornando dall’ufficio, la vidi di spalle vicino la mia libreria, che era come una grande muraglia vicino al suo corpo così piccolo. Aveva estratto dai suoi scaffali moltissimi libri e tra le mani teneva un volume pesante. Sentii il desiderio di lei nello stomaco aperto e chiusi la porta. Senza voltarsi, Leonie mi disse: “Ti stavo cercando.”
In quel momento mi resi conto che aveva rinunciato alla terraferma. Aveva deciso di naufragare nel mio corpo, fuori da ogni rotta. Mi commuoveva questo suo innestarsi, annodarsi a me. Questo suo volermi stare dentro, camminando lentamente per le strade strette, i cunicoli segreti, i passaggi e le gallerie sotterranee. E pure se lo faceva con sgomento, come se una simile urbanistica umana non fosse davvero possibile, sapevo che ci sarebbe stato sempre un punto che Leonie non avrebbe compreso, dove non l’avrei sentita camminarmi affianco, nel quale non mi avrebbe fatto alcuna compagnia.



“Ti amo. Per davvero. Non ho mai amato nessun’altra in questo modo,” le dissi mentre eravamo a letto il giorno in cui decisi di accoglierla anche in quello spazio vuoto.
L’abbracciai stretta mentre aderiva al mio torso.
“Anch’io ti amo,” mi rispose assonnata.
“Al punto che ti mangerei” aggiunsi.
“Non credo che ti farebbe bene.”
“Mh. Ma il nostro genoma non ha già le difese necessarie? Quelle contro le infezioni dovute all’ingestione di carne umana?”.
Mi guardò per un attimo, impassibile. Poi scoppiò a ridere: “Hai intenzione di smembrarmi?”
“Beh, se potessi scucire il tuo corpo con attenzione, al microscopio, lo farei. Ogni molecola del tuo DNA…”
“…potresti infilare ogni molecola del mio DNA in un filo per creare una bellissima collana che dal Sole si estende fino a Plutone per ben diciotto volte.”
“Non mi sembra molto pratico. Smembrarti forse è più facile,” conclusi. Mi baciò in un sorriso spontaneo che ricambiai.
La settimana successiva, farle prendere il sonnifero senza che se ne accorgesse non mi costò alcuno sforzo. La desideravo tanto che la mangiai al modo di un principe reale del Medioevo,
come fosse selvaggina, spezzando le ossa e succhiandone il midollo. Nei giorni che seguirono sentii Leonie dentro di me mentre andava a rigenerare il mio tessuto muscolare. Avevo uno
strano sentore di lei attorno al corpo dell’omero fino al brachioradiale e ne sorrisi serena, immaginai il suo DNA che si estendeva oltre il sistema solare.
Non avevo mai amato nessuna così. Ero sincera quando glielo avevo detto.

©Sarah Cipullo

Foto: Dna.

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