PENELOPE STORY LAB
Scuola di scrittura

Giostrina

[Racconto inedito] Zorro.

Eliana Mattioli (Milano, 1976) ha fatto un corso con me, Scrivere l’adolescenza, e un piccolo seminario.

In questo seminario ha scritto questo testo che mi ha colpito subito per un tratto fondamentale: racconta di sé, del suo pensiero. Invece che del mondo intorno a sé narra del mondo dentro; è un mondo che ha connotazioni horror che non fanno paura, di relazioni fredde che scaldano, e in cui l’elemento morto del racconto, quel piccolo cadavere, è l’elemento centrale della giostrina cui assistiamo.

E questa, inutile dirlo, è la cosa più bella che leggerete oggi.

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Il fagotto è pesante, mi fanno male le braccia e non posso appoggiarlo da nessuna parte.

I ragazzi mi guardano. Adele piange e Samuele ha gli occhi duri e la fronte corrucciata.

Mi chiede “Dove lo seppelliamo?”

Rispondo “Non lo so, nel bosco. Troviamo un albero, il suo. Ci dobbiamo lasciare un segno in modo da ritrovarlo”.

Saliamo in macchina, lascio Zorro sul sedile di fianco e avvio il motore. Sento un sasso cadere nello stomaco e un cerchio contenuto di dolore tutto intorno ad un punto che conosco bene. Respiro profondamente e faccio la retro per uscire dal garage.

I tornanti sembrano infiniti, a ogni curva cerchiamo con lo sguardo uno slargo dove parcheggiare. Finalmente lo troviamo, uno spazio libero ai bordi della strada, sembra che ci aspetti da sempre.  Ha piovuto e il fango è profondo, scendendo dalla macchina affondo leggermente il piede sinistro, ho un attimo di esitazione. Respiro profondamente e do un colpo di reni per muovermi.

Il rumore delle portiere che si chiudono mi fa venire i brividi.

Adele mi chiede se lo può portare lei e mette gli avambracci sotto il fagotto; nel togliere le mie mani si apre la coperta e vediamo la cicatrice sull’occhio, il muso tirato e immobile del nostro cane. Sento che le viene un sussulto al petto e fa un verso gutturale di pianto soffocato, rimetto a posto la coperta e dico “Dai, andiamo”

Ci incamminiamo lungo un sentiero coperto di foglie schiacciate e sporche. Samuele porta la pala in spalla, lo guardo da dietro, mi sembra un uomo fatto, fa quasi paura. Mi concentro sui miei piedi, uno dopo l’altro.

Ci fermiamo per riprendere fiato e decidiamo, senza una parola, che lì, proprio lì seppelliremo Zorro. Nel silenzio si sentono solamente i nostri respiri.

Ci guardiamo stancamente in giro e spazziamo via con i piedi le foglie da uno spazio rettangolare.

Samuele comincia a piantare la pala nella terra fangosa e a tirare su materia molle e nera. La butta a fianco ma non si stacca del tutto. Comincia a sudare e a sbuffare, parlando parole basse e rancorose. Le sento come un fischio acuto che parte dalla pancia e arriva alla testa, mi provoca fastidio e rabbia; è grande, che si gestisca la sua frustrazione, la vita a volte è fredda, dura e scomoda. Non dico niente, mi mangio la sua frustrazione come una mandorla amara, non lo aiuto e non lo consolo.

Siamo stufi di quest’aria che morde, marzo non passa mai.

Adele dice che ha freddo, la scaldo con un braccio intorno alle spalle e guardiamo la buca che lentamente e inesorabilmente diventa sempre più profonda e odorosa di terra.

E all’improvviso vedo mio figlio che scava la fossa come fossi immersa in un liquido, un senso di distanza come al cinema. La sua rabbia rancischiosa non mi appartiene più e regolo a mio piacimento il fuoco sulle mani rosse, la pala sporca e io, in piedi alla sue spalle. Mi rendo conto che la fossa è grande, abbastanza grande per il corpo di una donna adulta. E sento, sento cadere a tocchi il fango freddo sulla faccia, sul petto caldo, il peso piacevole sulle gambe come sabbia bagnata, i cinguettii che virano piano in rumori attutiti e vermosi. E quindi divento cibo e non ho più dolore, la mia carne è vivissima.

Mia figlia assiste inerme.

Samuele mi guarda accaldato e mi chiede “Così basta?”

“Sì, è perfetta” dico.

Adele si china e posa Zorro nella buca e ascoltiamo il suono della terra che cade sul corpo. Non sappiamo bene cosa dirci, quindi, in silenzio, torniamo verso la macchina.

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