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Saper indossare. Di Amleto De Silva

Saper indossare. Un articolo di Amleto de Silva.

Stronzo. Di Anthony Squizzato
Stronzo. Di Anthony Squizzato

Saper indossare

Io, sugli stronzi, ci ho scritto un libro sano. Quindi si suppone che non abbia altro da dire: e invece no. Chiudevo Stronzology (così si chiamava il libro, per chi non lo sapesse), suggerendo un metodo infallibile per liberarsi da questi esseri odiosi: alzare l’asticella. Riempirsi di bellezza, leggere solo cose belle, ascoltare solo buona musica, guardare soltanto bei film e belle serie tv. E devo dire che, in genere, è un metodo che funziona ancora oggi. Non del tutto però. Se ci ripenso, devo constatare (e farlo mi costa) che le cose sono cambiate, e alzare l’asticella non basta, non più. Mi spiego partendo da una nuova, e più larga definizione dello stronzo:

Stronzo è chiunque, in qualsiasi modo, rovina o cerca di rovinare la qualità della tua vita.

La parola chiave è, l’avrete capito, chiunque. Il che implica una cosa abbastanza difficile da digerire: che adesso sono tanti, e se lottare con uno stronzo può essere, tutto sommato, un’impresa ardua ma non impossibile, combatterne cento alla volta richiede qualcosa di molto simile alle Termopili (nel libro parlo ampiamente degli Spartani come esempio di antistronzismo). Il problema, adesso, è arrenderci all’evidenza: che è, poi, la cosa più difficile. Tendiamo, per mero istinto di sopravvivenza, a nasconderci le cose sgradevoli, quelle che sappiamo ci richiederanno una dose massiccia di pazienza e, insieme, di combattività: eppure, dobbiamo farlo.

Un esempio. Mi trovavo a tavola con un po’ di persone conosciute quella sera stessa. Càpita, quando sei in giro per presentazioni: si chiacchiera, e poi si va a bere e a mangiare qualcosa con chi si trova. A un certo punto una (sì, una donna, fatevene una ragione) se ne esce parlando bene di ****, un famoso asino sellato che scrive libri. Attenzione, non sto parlando di libri così così: dico proprio uno che dovrebbe andare a spalare il letame, e col letame poi essere pagato. Ora, io sono una persona pacifica, nonostante goda di cattiva stampa e vada in giro con una cattiva quanto immeritata fama, e in altri tempi avrei pensato, vabbè, poverina, è ritardata, chissà quanti dispiaceri procura alla sua famiglia, peccato però. E poi capita che altri commensali, persone intelligenti e garbate, si accodino al plauso per il ciuccio, e io non posso fare a meno, a domanda, di rispondere: ****? È una merda.

Raccapriccio dei commensali, gelo a tavola: in altri tempi avrei anche chiesto scusa, o almeno abbozzato, ma quella volta lì seppi che non era il caso di abbassare la guardia, e mi esibii in analisi sensate e dettagliate su quanto **** fosse un povero analfabeta.

Il fatto è che quella volta ho capito una cosa: stanno vincendo loro, e noi non ce ne siamo accorti. Certo, esiste ancora l’amico stronzo che ti fa una cattiveria, o lo stronzo tout court che ti tira la sòla, ma quando riescono -come stanno facendo- a diventare mainstream, a rientrare furbescamente nella categoria dell’in fondo non è poi tanto male, allora è il caso che mettiamo il culo in faccia al muro e ci prepariamo a fare a cazzotti. A Napoli si dice che a carocchia, ‘a carocchia, Pulecenella accirette ‘a mugliera, per dire che piano piano, mollichella dopo mollichella, si possono fare danni anche irreparabili. Ecco, gli stronzi stanno facendo esattamente questo: ci stanno rendendo brutta la vita, carocchia dopo carocchia. E lo fanno con la complicità di persone che magari stronzi non sono, e neanche complici (in Stronzology li chiamo Renfield, come il servo umano di Dracula), ma che dopo una ventina di carocchie si sono scimunite e fanno il gioco del nemico.

 

Renfield
Renfield

"Hanno fatto fuori il libro bello"

Ora, quello che faccio io, e che vi invito a fare, visto che alzare l’asticella non basta più, è combattere (poi ne parliamo meglio).

Quello che fanno i lassisti (chiameremo così i fiancheggiatori degli stronzi d’oggi) è preparargli il terreno, esattamente come i Renfield, solo che a differenza dei Renfield sono tanti, sono troppi, e finiscono, in un modo o nell’altro, per rovinarti le cose belle della vita. Esempio del circolo vizioso: migliaia di lassisti, pur avendo i mezzi per capire che **** scrive di merda, si abbandonano al Dài, non è poi così male, su. Comprano il libro di ****, magari per cercare di chiavarsi la cretina con la quale mi sono trovato a tavola. La quale cretina, a sua volta, per far sfoggio di una cultura che evidentemente non possiede, per far bella figura con un qualche spasimante obnubilato dal desiderio di farsi un giro nelle mutande della ritardata, cita **** come se parlasse di un vero scrittore e non di un completo deficiente sprovvisto di vergogna, e così via. Mettiamo che questo circolo vizioso si ripeta dieci, cento mille volte, e arriviamo a me. Sono fuori Roma, magari in una città del Nord, quindi non posso servirmi di Amazon. Non conosco la città, quindi non so se in quel posto c’è una libreria che non venda solo muffin o calamite da frigo, eppure in quel preciso momento ho il forte desiderio di comprarmi Fuoco a mare di Michele Prisco, perché magari ne ho appena parlato al telefono con Marco Ciriello, e voglio regalarlo, qui e ora, a un amico; entro in una di quelle librerie del cazzo che vendono souvenir e piadine, chiedo Fuochi a mare. La commessa mi guarda come se le avessi chiesto di calarsi i pantaloni e accoppiarsi con un bradipo. Capisco che non ha idea di cosa io stia parlando: è chiaro che non ha il libro, che non abbia la più pallida idea di chi fosse Michele Prisco. Intuisco che magari, in magazzino, forse, esiste una copia impolverata di Fuochi a mare, ma se anche fosse, non c’è sul computer (la poverina dice esattamente così, non c’è sul computer), quindi non esiste. Reprimo la voglia di spiegarle con parole mie perché dovrebbe essere rinchiusa a vita in un qualche istituto (una volta si faceva così, con quelle come lei) e mentre esco, noto con la coda dell’occhio una pila (una pila, Cristo santo!) di libri di ****. I (chiamiamoli pure così, ma solo per brevità) libri di questo mentecatto hanno fatto fuori, letteralmente, un libro bello. Morale della favola: io non compro un libro bellissimo, non potrò regalarlo al mio amico; quindi, io perderò il piacere di fargli un bel pensiero, e lui la gioia di scoprire un autore ingiustamente trascurato. Dite, ma magari potresti regalarglielo in un secondo momento. Potrei, come no, ma magari quando torno a Roma vengo assalito dalle bollette, dai cazzi vari della vita, e mi scordo. Potrei ancora fare una cosa bella, ma magari mi scorderò e addio Fuochi a mare.

Finita qui, direte voi. E invece no. Se in libreria non c’è Prisco (o Veraldi, o Chiara, o Parise, o Soldati), si perde il termine di paragone. Se non hai l’opportunità di leggere Prisco (o Veraldi, o Chiara, o Parise, o Soldati), e ovviamente non hai mai letto Hugo (o Dickens, o Tolstoj, o Salgari, o Dumas), col cazzo che sarai mai in grado di capire pienamente quanto faccia davvero schifo ****.

E qui torniamo al punto: combattere.

È dura, esige schiettezza e polso fermo, ma va fatto. Ogni volta che i libri di ****, i film di XYZ, le serie di Geppino Pannicuocolo prendono piede, la qualità scende di uno scalino e la vostra vita peggiora inesorabilmente, e senza neanche accorgervene vi trovate a chiedere al bar a chiedere un calice, grazie.

Per conto mio, ho una frase standard che ormai adotto. Se volete, ve la regalo. Ogni volta che qualcuno mi vanta **** o un altro come lui (o lei, sulla ciucciaggine le femmine non hanno bisogno di quote rosa, anzi), rispondo serafico: Non ho mai pensato che tu fossi intelligente, ma devo dire che non mi aspettavo che tu fossi così spaventosamente imbecille.

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3 commenti su “Saper indossare. Di Amleto De Silva”

  1. Buongiorno, non la conosco e non mi ritengo una persona acculturata, e sì gradirei salire almeno di uno o due gradini l’Olimpo della bellezza, e altresì condivido in parte il rammarico di trovare dei libri a discapito di altri meno pubblicizzati; in parte, però. Posso dire la mia come lei dice la sua? Usa toni forti, arroganti oserei dire, e, sempre umile idea mia eh, passa dalla parte del torto. Non è checché di stronzaggine abbondiamo un po’ tutti? Certo, c’è chi ne ha più e chi ne ha meno… Chissà, forse la bellezza è nel mezzo, forse l’educazione e la gentilezza fanno la differenza… La saluto, cordialmente.

  2. In risposta a Monica G.

    È satira, Monica. È satira mista a disappunto, ma sempre satira. È che ci siamo abituati a una satira edulcorata, e non distinguiamo l’uso di una terminologia legittima in determinati contesti letterari e magari non in altri. E se c’è una persona che sa usare il garbo, è Amleto, mi creda.

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