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PENELOPE STORY LAB
Scuola di scrittura

Storie incredibili ma vi giuro vere. Il giorno in cui la terra tremò forte.

Il 20 maggio 2012 la terra tremò forte in Emilia. Vennero rasi al suolo piccoli centri, caddero chiese, si aprirono in due case, crollarono campanili. Alcune fabbriche chiusero, e le persone si riversarono in strada, anche a Viadana, direttamente dai palazzi, e dai negozi e dalle botteghe, e perfino dalle strade stesse, ma spostandosi da là dove costruzioni vecchie avrebbero potuto inginocchiarsi e abbattersi.
Il 21 il Sindaco poté dire, dopo una serie di perlustrazioni di Protezione Civile e vigili, che i danni erano davvero contenuti: un’abitazione venne recintata in zona San Martino, ma già era cadente; un paio di tubature saltarono, il geometra del comune venne chiamato a visionare alcune crepe, e poco altro.
Il 23, però, a seguito di una segnalazione giunta per vie traverse, i vigili accorsero in via Mazzini angolo vicolo Pasubio.
Un uomo, dall’apparente età di 45 anni, era crollato in un angolo a seguito delle scosse di assestamento conseguenti a quella principale. Era sdraiato a terra con gli occhi al cielo. Il braccio e la gamba sinistra perfettamente aderenti al cemento, come due pinnacoli volati dall’altissimo e precipitati; la gamba destra era piegata e pericolante, con la pianta del piede ancora centrata, e il braccio destro attraversava il petto e si allungava parallelo all’altro.
Alcuni passanti si erano fermati a guardarlo, nonostante il rischio. Un anziano, vestito con giacca e pantaloni grigi e due toppe raffazzonate ai gomiti, disse che una roba simile già l’aveva vista, ma non spiegò bene quando.
La Protezione Civile allontanò tutti e delimitò la zona, mettendo quattro transenne a riparare da nuovi crolli agli angoli nord, sud, est e ovest dal corpo – come da protocollo, a una distanza di due metri e cinquanta dalle estremità accessibili. Due volontari vennero messi a protezione delle strutture circostanti. Il 26 maggio, dopo essersi recato direttamente a visionare la situazione, ed essersi fatto immortalare con un elmetto in testa, il Sindaco emanò un comunicato stampa, che venne pure fatto affiggere in diverse postazioni cittadine, nel quale parlava della situazione sotto controllo. La Gazzetta di Mantova, in un editoriale, disse dei danni che aveva subito la Provincia, parlò dello strano caso della terra bollente, e poi aggiunse, in una noticina, dei fatti di Viadana – senza specificare.
Il 29 maggio, le cose mostrarono di essere più gravi di quanto non parve all’inizio. I due volontari, al cambio del turno, vennero trovati crollati a terra; entrambi nella stessa identica posizione del primo, la cui identità era risultata essere: Benatti Primo, residente in vicolo Brolo al 15; benché disposti secondo orientamenti differenti, ognuno aveva braccio sinistro e gamba sinistra stesi, braccio destro lungo il petto e poi parallelo all’altro, gamba destra ancora pericolante.
La zona interessata venne allargata, e i curiosi allontanati per il timore di nuovi crolli. Vennero aggiunte tre transenne, e i volontari divennero quattro; la Gazzetta di Mantova mandò un inviato sul posto a controllare la situazione, e gli diede un pezzo da 1500 battute.
Ancora una volta il Sindaco si espose; e ancora una volta i fatti gli diedero torto.
Nello speciale del 27 agosto 2015, una tabella riepilogativa mostra i crolli che hanno prima interessato, come ricordato, via Mazzini e vicolo Pasubio, allargandosi poi – pur mantenendo quello come epicentro – a vicolo Bedulli e vicolo San Rocco, via Martiri della Prigionia con tutti i giardini vecchi, via Sanfelice e un tratto di via Ivanhoe Bonomi. I dodici volontari della Protezione Civile (i quattro di turno e otto curiosi) caddero tutti insieme il 4 giugno 2013. Il 3 settembre 2013 crollarono in 24. Il 17 dicembre 2013, fuori nevicava secondo le cronache, crollarono in 51. Il 13 marzo 2014 furono 87, e poi il 9 giugno 2014 105, fino al Grande Crollo del settembre 2014, con 127 caduti. Le transenne non bastavano più. Quando tutto sembrava finito, il 28 maggio 2015, a tre anni di distanza dal primo evento, caddero in 114. Finalmente, il 23 giugno, furono 91.
Dopo, non so più dire, perché tra essi sono anche io.
Siamo tutti riversi con il braccio sinistro steso a terra, la gamba sinistra pure, il braccio destro – col quale ho imparato a scrivere, mi posizionano un foglio all’altezza dell’orecchio sinistro – ad attraversare il petto in un perpetuo abbraccio. La gamba destra tiene ancora. Ogni tanto vengono a giurarci coi megafoni che alle prossime elezioni ci aggiusteranno; ogni tanto abbiamo tutti insieme, senza parlarci, la sensazione forte che anche la destra non terrà a lungo.
Beviamo acqua piovana, o rugiada; siamo dimagriti molto. Nei momenti di silenzio, molti, guardiamo il cielo; abbiamo imparato a riconoscere le stelle, o forse chissà, forse sono loro che si stanno piano abituando a noi.
Io, nell’attesa della fine, apro gli occhi, poi li chiudo, scruto la polvere chiedendomi chi di noi costituisse; racconto storie per dirci chi eravamo, e questa è una.

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