La bestia, di Ada Birri Alunno.
Il racconto La bestia, di Ada Birri Alunno, è arrivato primo al concorso Tracce, categoria C (30+).
Ricorda vagamente un racconto di Flannery O’Connor, e questo è già un complimento; e porta con sé ferocia, rapporti famigliari, incidenti, odii, e canzoni bellissime.
Ada, come ogni anno, manda il suo racconto a un minuto dalla mezzanotte. Grande decisione, quest’anno, quella di non aspettare altri due minuti. Grande idea.

CLASSIFICA FINALE DELLA CATEGORIA C, CONCORSO TRACCE.
1. La bestia, di Ada Birri Alunno
2. Il bambino nella bolla, di Ilaria Celasco
3. Ninfea (beaux jours), di Raffaella Bersani
Mio nonno è morto giovane e male. Mia nonna invece è viva e mastica e sputa pane e olio facendo schifo a tutti. All’istituto la chiamano la professoressa. Fino a pochi anni fa era il terrore di studenti e nipoti. Suo figlio – mio padre – s’è venduto la casa in cui è vissuta e aspetta che muoia. Mia madre le pulisce la bocca, la chiama per nome, si raccomanda dandole del lei di mangiare per bene. Un bicchiere cade a mio zio, seduto a fianco a mio padre. Una ragazza giovane in camicia bianca arriva a raccogliere i vetri. Lui accenna a un grazie e lascia fare. La nonna ferma un cameriere, Corrado, da bravo, vammi a prendere il pane. Lo tiene per il braccio. Guardo mia madre, chiedo a gesti come sia possibile che la nonna conosca il cameriere. Mia madre alza le spalle e beve un sorso di vino. Le dice di non disturbare. Mia nonna esegue e si accerta che entrambi gli orecchini siano ancora dove devono. A fianco mi siede un undicenne di ottanta chili. La madre – mia zia – lo invita a mangiare, povera gioia, passandogli una mano tra i capelli e lo guarda come fosse appena un neonato. L’altra figlia, cerebrolesa, seduta davanti a me, canta in totale silenzio muovendo la testa e le mani guardandosi riflessa dentro il cellulare. A che ora arriva Corrado a prendermi? Nonna chiede alla zia. Passa tra un po’, improvvisa lei. Mio nonno si chiamava Egidio. Chi è Corrado? Mia madre risponde un amico. La torta di mio padre arriva quasi sciolta. Garibaldi, diciamocelo, ha fatto una cazzata a unirla l’Italia, dice lo zio parlando del cameriere dall’accento meridionale. E giù a ridere. Io mi auguro un terremoto, un attentato, un cataclisma che ci salvi dalle teste di cazzo. Il pane è finito e la nonna si è spenta, si guarda le mani, raccoglie le briciole con le dita. Lo faceva anche quando ero piccolo, quando stava bene, quando non dimenticava la macchina parcheggiata da qualche parte. Il medico l’aveva detto che sarebbe stato tutto veloce. Mia nonna è troppo giovane per morire, per questo ha cominciato a scomparire. Per avvantaggiarsi. A bocca piena comincia a cantare, prima piano, poi sempre più forte Ma l’amore no, l’amore mio non può disperdersi nel vento con le rose, facendo volteggiare il cucchiaino. Ci mancava Sanremo. Mio padre si pulisce la bocca e si alza facendo cenno a mia madre di fare lo stesso. Io ringrazio Dio e salutando appena, prendo l’uscita. Guardo mia madre che sistema la giacca della nonna. Mia madre non è capace di niente. Non ha passato e non ha futuro. É una specie di subordinazione vuota di mio padre. Esegue. Mia nonna continua a cantare, ma l’amore no l’amore mio non può, dissolversi con l’oro dei capelli. Saliamo in macchina. Siamo in ampio anticipo per riportare la nonna all’istituto. Mio padre accende il riscaldamento e apre il finestrino. Si accomoda meglio sul sedile, slaccia il primo bottone della camicia. Io vorrei vomitare. Mi concentro sulla nuca di mia madre, sull’immagine delle sue scarpe che sono strette anche se lei non l’ha detto a nessuno, sul gomito appoggiato allo sportello, sulla mano che sostiene la testa. Prendiamo una strada sterrata, il fogliame del navigatore che indica la via più breve ci porta all’inferno. Oscilliamo nell’abitacolo cadendo dentro le buche. Mio padre comincia ad arrabbiarsi con mia madre. È a mia madre che va il primato delle colpe. È lei la ragione delle buche, del troppo caldo o troppo freddo, la causa dei fallimenti, delle multe per eccesso di velocità, di quelle per guida senza cintura. È lei la causa delle bombe d’acqua e del caldo anomalo d’estate. Per mio padre è mia madre a essere responsabile del riscaldamento globale e dell’innalzamento dei mari. Mia madre non reagisce, non so neanche se ascolti. A volte mi fa schifo, a volte credo abbia trovato l’unico modo per poter vivere insieme a lui. All’improvviso, poi, è un tonfo sordo, grave. Una specie di dosso ovattato. Mio padre ferma la macchina subito. Usciamo tutti tranne la nonna. A terra c’è un cane nero che sussulta. Mio padre mette la mano sulla fronte e si incazza con mia madre che l’avrebbe dovuto vedere. Mia madre si china sul cane che continua a tremare e che comincia a guaire piano. Siamo nel mezzo del niente. Dalla macchina si sente cantare la nonna. Io lo veglierò io lo difenderò da tutte quelle insidie velenose che vorrebbero strapparlo al cuor povero amor. Mia madre accarezza il cane e comincia a piangere. Mio padre urla e prova a chiamare un veterinario ma non c’è campo. Urla più forte parole sconnesse. Mia nonna continua a cantare, Forse te ne andrai d’altre donne le carezze cercherai ahimè, e se tornerai già sfiorita ogni bellezza troverai in me, mentre mio padre aggira la macchina e si piega, con la torcia del cellulare puntata sul parafanghi e si spinge ancora più in giù a valutare sommariamente i danni. All’improvviso lo sportello lato guida si chiude fortissimo e, tolto il freno a mano, la macchina parte veloce. Io riesco a scansarmi per un niente. Mio padre resta immobile con la luce ancora accesa dal cellulare in mano e con i fari puntati addosso. L’auto passa in retromarcia sopra il cane, che si rigira su se stesso due volte, come le scene che vanno a ritroso, poi inchioda. Tutto resta fermo per un attimo dentro la polvere della strada. Si apre lo sportello, esce mia madre, torna piano verso il cane, si inginocchia, si siede, piangendo ancora. Il rumore dell’ultimo sportello che si apre, una mano sulla spalla di mia madre. La bestia è immobile e senza suono. Somiglia, ora, così tanto a mio padre.
Ada Birri Alunno