dbp, di Gianmarco Biemmi.
Il racconto dbp, di Gianmarco Biemmi, è arrivato terzo al concorso Tracce, categoria B (20-30).
È bello vedere scritture fatte di lavoro mentale e coraggio. Gianmarco ce ne mette per parlare di un amore così fragile che sembra già distrutto, intrappolato tra ripetizioni ossessive, crisi incontrollabili, la lenta erosione dell’identità. Lui è un vortice di instabilità, di rituali e crolli emotivi; lei un guscio svuotato, sempre più distante. Non c’è violenza fisica, ma la sofferenza è tangibile, incisa nei gesti e nelle parole ripetute fino allo sfinimento. Il treno, la stazione, il distacco: il finale è un addio necessario, quasi predestinato. Un racconto sul peso dell’amore quando diventa impossibile da sostenere.
Bravo, Gianmarco. Vogliamo rileggerti.

CLASSIFICA FINALE DELLA CATEGORIA B, CONCORSO TRACCE.
1. Il profumo del glicine, di Maria Carla Colombi
2. Simbionte, di Deborah Guarnieri
3. dbp, di Gianmarco Biemmi
I vagoni poco ventilati non riuscivano più a trattenere le risate, figurarsi le urla. Nel cratere costituitosi tra Neva e Filippo ci passava un’estate intera. Nello spazio tra il trolley di lei e il borsone di lui invece ci passava a malapena un rigolo d’ossigeno e i loro sguardi forzati in direzioni opposte.
Filippo ripeteva le parole, non tutte, e anche alcune frasi. Le ripeteva in maniera ossessiva. Quando iniziava non si fermava più. Lei gli aveva detto di aver assaggiato il carapau a Lisbona, che non le era piaciuto davvero e che era sostanzialmente uguale allo sgombro delle nostre scatolette. Filippo aveva ripetuto la parola carapau per 137 volte in 36 minuti. Neva le aveva contate.
Ma nel reiterato fastidio di un comportamento minuscolo alle volte si nasconde una verità scientifica diretta all’universale.
Neva lo lasciava giocherellare con lo yo-yo in legno che aveva rubato nell’albergo in Austria l’anno prima. Lei invece rendicontava le parole crociate come un’impiegata di banca al primo giorno di lavoro. A Nizza il sole macinava chilometri di cammino prima di bussare sulle spalle, una gentilezza d’altri tempi, un’arietta bislunga e delicata. La finestra dell’appartamento calamitava gli occhi di Filippo ai nugoli grigi e informi triturati dal rancore per l’attesa, dato che alla fine non pioveva mai. Domani sarà sereno, venti moderati, massime intorno ai 29 gradi, poche nuvole, potremmo andare alla plage des ponchettes. Si era messo in testa che fosse lui a decidere le sorti del meteo. Neva invece credeva ancora ingenuamente all’app dell’IPhone e alla pioggia preannunciata. Potremmo anche andarci ora, disse stanca di far nulla. Non fare la carapau, le rispose. Un secondo dopo Filippo sputò lacrime senza un minimo di preavviso. Un pianto nevrotico e infantile ritmato dalla richiesta di non essere lasciato.
Neva già da tempo si rantolava nei sensi di colpa, il timore di un futuro di impedimenti e attenzioni oltremodo palliative non la riuscivano nemmeno più a far digerire. Le passeggiate serali distensive nel parco dietro casa si erano velocemente tramutate in unghie sventrate e ciuffi di capelli nascosti nelle tasche.
La colpivano i sintomi di un futuro ad ostacoli, si chiedeva cosa potessero fare i suoi ricordi ocra e miele per farla guarire dalla violenta sensazione di essere incappata nella scelta di vita sbagliata, nel sentimento irreversibile di un triste declino psicofisico.
Filippo piangeva spesso ultimamente, sempre nei momenti meno opportuni. Al ristorante tristellato che si erano regalati per l’anniversario si era scofanato anche gran parte del menù degustazione di lei, terminando la serata a mescolare lacrime e vomito dietro al cassone giallo dell’Humana. Poi la stessa situazione accostati nella piazzola di sosta, dopo i 220 km/h raggiunti in autostrada per Firenze, laddove la velocità non consentita riduce le minacce di una vita separata ad un semplice quesito sulla sopravvivenza. Filippo con le gambe penzoloni sul vicolo c’era stato già un paio di volte, ogni volta da un piano più alto. A Berlino al secondo, a Copenaghen al terzo e ora, a Nizza, al quarto.
Lei non riusciva più a guardarlo, né a baciarlo. La psicologa le aveva anche consigliato di non toccarlo, di fargli capire che il passato si era già materializzato nel letto matrimoniale, a fare il terzo in comodo, a mettersi tra di loro per rendere meno esecrabile l’addio.
L’ultima volta che aveva sbagliato le previsioni del tempo si era chiuso nell’armadio di casa per 7 ore. L’ultima volta che lei era uscita senza di lui, si era mangiato una scatola intera di cinquanta ghiaccioli. Le risate dissimulatorie con le infermiere del pronto soccorso le avevano recapitato il messaggio forte e chiaro. Non era più lui, o, forse, era davvero lui. Aveva cominciato a chiedere il significato delle cose, per ogni cosa. Neva aveva invece iniziato a perdere il significato di sé stessa. Il suo ruolo nella relazione. Il suo ruolo nella vita. Ne avevano parlato. Filippo conveniva a riguardo. Diceva di non aver mai saputo nemmeno lui chi fosse davvero. Forse a ben poco serve fare braccio di ferro per chi ha il tormento interiore più grande. Forse a loro sarebbe servito solo un periodo di cura, seguito da uno di guarigione, seguito da una vita tranquilla, lontani, separati.
I pugni non l’avevano certo mai sfiorata, ma alle volte non è necessario il contatto con la violenza per rendersi conto che il vestito che ci stiamo cucendo addosso è troppo stretto, che i nodi sono da disfare, che la stoffa ricucita prova a negare l’esistenza di uno sguardo benigno precedente allo sguardo attuale giudicante.
Inscatolati nell’anfratto tra i posti a sedere del regionale veloce per Milano, quei pugni scattanti e imbufaliti diretti al cartello con la scritta “mind the gap between the train and the platform” avevano generato un maremoto. Il controllore non riusciva a farsi spazio tra lo sconvolgimento e Neva aveva risentito dell’onda d’urto, tremava sgomenta con le palpebre atterrite e il desiderio di farsi risucchiare dalla strada già percorsa. Ma i binari non si lasciano calpestare dalle storie degli altri, i binari sono meri strumenti di comunicazione tra un luogo e un altro.
Filippo sdraiato comodo sui sassolini, in bocca un Mars, scherzava ancora con la fantomatica inefficacia della crema solare, Neva aveva finto di non sentire quando le aveva domandato cosa significasse quando uno mangia solo dolci. Alla terza volta però, ha dovuto cedere all’ecolalia galoppante dell’uomo che aveva cercato di difendere dall’odio di qualcun altro un paio di anni prima.
-Eh? tu che dici? cosa significa quando uno mangia solo dolci?
-boh, che sei felice
-ma io non sono felice
Filippo, in lacrime, aveva preso la rincorsa verso il mare con le braccia a citofonare l’aria e le gambe a scalciare i cattivi pensieri. La preoccupazione di Neva baluginava nell’emozione retroattiva di un distorto punto di vista, e se quell’uomo non fosse davvero malato? Non stringergli la mano. Non accarezzargli le spalle. Non scompigliarli i capelli.
Lo psicologo di Filippo nascondeva dietro il MacBook pro e una t-shirt oversize di Zara la verità sul disturbo borderline di personalità che affliggeva il giovane, come se a far abboccare i pesci all’amo partecipassimo ad un gioco divertente, come se a buttarli di nuovo in acqua dopo esserci fatti una foto con loro ci trasformassimo in paladini della giustizia e non in traumi indelebili.
Neva non aveva vie di fuga, le urla annebbiavano le fermate successive. Di comune accordo con la Polfer sono usciti di scena alla stazione di Finale Ligure. E proprio alla stazione di Finale Ligure Marina, come un sadico scherzo del destino, terminava il loro incerto amarsi. Lui raccolse la borsa col braccio dolente e con lo sguardo basso a nascondere l’abiezione. Prima che il treno potesse ripartire, prima che il vento potesse riportare in vita un soffio di pietà, prima che lui potesse rialzare lo stesso sguardo per capire come codificare l’addio, Neva aveva già sterzato le ruote del trolley e indovinato la strada per l’uscita dall’edificio. Al primo tentativo. Non capita spesso nelle stazioni italiane.
Dovrò fare un mind the gap, si ripeteva Filippo, sono proprio un mind the gap, è stata una batosta nel gap. Sulle note del telefono, nella pagina ‘Previsioni del tempo’ appuntava frettolosamente le seguenti parole: Domani il Sole nemmeno sorgerà.
Gianmarco Biemmi