Cavaliere lo era solo all’anagrafe. Battezzato Bruno, figlio del fu Gaetano e di Teresa, il caffè lo prendeva dolce, «ché amaro, non c’ho niente da scontare».
L’aveva sposata che sbocciavano le rose. Quando ebbe da darle la notizia, si fissava le scarpe consumate, arricciando gli alluci fino a farsi male. Arrivarono al binario che lei aveva il pancione e il passo lento: «Rachele, non vado mica in guerra», le aveva detto, passandosi una mano sulla nuca, ma non vide provocato alcun sorriso. Non c’era stato un corpo né una bara sopra cui buttare la consueta manciata di terriccio, solo un telegramma, un timbro, una medaglia; e dita bambine da intrecciare.
Di rose ne sono sbocciate ancora tante, la figlia del fu Bruno è maritata, e dalla moka sale ancora lo stesso identico profumo: Rachele appoggia una tazzina alle labbra e lo assapora. Nell’altra infila il cucchiaino; e inizia a mescolare.

Davide Bertelè